Il desiderio di desiderare è stato il filo conduttore di tutta la vita di Spisidda, anche se sembrerebbe un ossimoro. Un contrasto con la deriva permanentemente disattesa, con la erranza inquieta, che non riusciva a trovare appagamento, nonostante la ricerca affannosa.

La forza del desiderio ad essere è stata la condizione principale della sua esistenza, il movimento di apertura verso la generatività. Voleva fare il maestro, il piccolo Luigi. Drammatici eventi, sempre in agguato, glielo hanno impedito. Tuttavia risulta esemplare il suo modello di filiazione simbolica, conseguita mediante esempi, gesti, testimonianze silenziose e significative. L’eredità maggiore che ha lasciato è proprio l’eredità del suo desiderio: ha lasciato il suo desiderio all’Altro, alla figlia, che lo ha assunto, rigenerato, riprodotto come proprio. Luigi ha trasmesso il seme del desiderio di conoscenza per contagio, nonostante la via accidentata della sua vita. Nell’impossibilità di sviluppare le proprie capacità e potenzialità, nello smarrimento assoluto di fronte al male, nella deriva mortifera della guerra e della prigionia, è stato capace, nonostante tutto, di produrre desiderio fecondo, fruttifero generativo.